眠らない nemuranai (don’t sleep, won’t sleep)

In Giappone è presente l’uso di vendere i Goban che sono stati usati in partite importanti, spesso facendoli autografare dai giocatori.

Le grandi associazioni di professionisti, si autofinanziano anche vendendo agli appassionati dei goban autografati da famosi professionisti, che costituiscono un regalo prestigioso e prezioso.

Sono solo manie da collezionisti?

Anche in Occidente sono presenti usi simili (es: la vendita di quadrati del prato su cui si è giocata la finale dei mondiali di calcio), ma nel sentire giapponese, la cosa ha radici più profonde, connesse con l’animismo Shintoista che, anche oggi, convive nel paese con la tradizione Buddista.

Condivido di seguito un brano preso dal libro di Marie Kondo sul riordino, che, qualche anno fa, ha furoreggiato nelle librerie. Lo ho trovato interessante e rivelatore di un sentire profondamente diverso e lontano da quello della società razionalista in cui sono cresciuto.

Il processo del riordino sembra approfondire le relazioni non solo tra gli oggetti e la casa ma anche tra gli oggetti e noi, e tra le persone stesse. Mentre riflettevo sulla natura di questi rapporti, mi resi conto che i giapponesi trattano da sempre con rispetto gli oggetti di loro proprietà. Il concetto di yaoyorozu no kami, letteralmente «ottocentomila dèi», ne è un esempio. I giapponesi credevano che le divinità risiedessero non solo negli elementi naturali come il mare e la terra, ma anche nel fornello e in ogni singolo chicco di riso, e quindi trattavano tutto ciò con venerazione. Durante il periodo Edo (1603-1868), il Giappone aveva un sistema di riciclaggio efficace e bene organizzato, che impediva gli sprechi. L’idea che tutto sia dotato di uno spirito sembra essere scritto nel DNA giapponese.

Lo spirito degli oggetti ha tre aspetti: comprende lo spirito dei materiali di cui è l’oggetto è composto, lo spirito della persona che l’ha fabbricato e quello di chi lo usa. Lo spirito del fabbricante ha un impatto particolarmente profondo sulla personalità dell’oggetto. Ad esempio, questo libro che state leggendo è di carta. Ma non si tratta di carta qualsiasi. È carta impregnata del mio forte desiderio che vi mettiate a riordinare e dell’aspirazione ad aiutare chi vuole una vita piena di felicità. L’intensità di questi sentimenti continuerà a pervadere l’atmosfera anche dopo che lo avrete chiuso.

Alla fine, però, è il sentimento della persona che usa un oggetto, il suo modo di trattarlo, a determinarne l’aura (in giapponese si dice kuki-kan, letteralmente «sensazione dell’aria»). La luce emessa da questo libro, la presenza che proietta, dipende da voi e da come lo trattate, dal fatto che lo usiate o, invece, vi limitiate a comprarlo senza leggerlo. Il principio vale per tutto, non solo per questo libro: è la vostra mente a determinare il valore di tutto ciò che possedete.

Recentemente un’espressione che continua a venirmi in mente quando lavoro con i miei clienti è mono no aware. Questa frase giapponese, che significa il «pathos delle cose», descrive l’emozione profonda che proviamo quando siamo toccati dalla natura, dall’arte o dalle vite degli altri prendendo coscienza della loro essenza transitoria. Allude anche all’essenza degli oggetti e alla nostra capacità di coglierla. Quando i miei clienti procedono nel riordino, noto un cambiamento nelle loro parole, nelle loro espressioni facciali, come se diventassero più abili nel provare il mono no aware.

Da                             96 Lezioni di Felicità     di Marie KONDO
Titolo originale:       Spark Joy: An Illustrated Master Class on the Art of Organizing and Tidying Up.

Marie Kondo è una consulente e scrittrice giapponese, la sua biografia su Wikipedia indica che ha passato 5 anni come miko – una sorta di assistente, un po’ come i nostri chierichetti? 😉 – in un tempio. Non finisce mai di stupirmi quanto radicato e pervasivo sia lo Shintoismo nel popolo giapponese, che è comunque una delle maggiori potenze industriali e uno degli stati più tecnologicamente avanzati del mondo.

E’ a questa stessa credenza che si rifà l’apparizione di Sai nel primo episodio di Hikaru No Go, non appena il protagonista “vede” le tracce di sangue sul goban: Sai è diventato un fantasma – yurei – per la sua forte volontà di continuare a giocare e il suo spirito è rimasto legato al goban.

Sembra che in Giappone, i negozi di cose usate, siano meno diffusi che altrove: sarà paura dei fantasmi?

Di certo, però, esiste una legge che obbliga le società immobiliari ad informare i potenziali clienti degli eventi rilevanti avvenuti nelle proprietà, che in caso di crimini violenti, o suicidi, possono subire importanti deprezzamenti. http://www.tuttogiappone.eu/i-fantasmi-e-il-settore-immobiliare/

Stranezze del paese del Sol Levante, ma mi viene voglia di poter giocare su un Goban famoso, pervaso dallo spirito creativo e dalla forte volontà di vittoria di due maestri e di poterne essere a mia volta ispirato!

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